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martedì 23 giugno 2009

Birmania, da non dimenticare

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La pacifica rabbia del popolo birmano sta per esplodere e si prevedono imponenti manifestazioni di massa. Parola di Ashin Sopaka, monaco buddhista birmano in esilio in Germania.
Non è bastata la colossale manifestazione di due anni fa di migliaia di monaci, non sono bastate le pressioni dell'Occidente nei confronti del regime dittatoriale di Rangoon, non sono bastate le passionali e dure parole di Aung San Suu Kyi. La giunta militare è sorda e indifferente. Adesso, dopo che il premio Nobel è nuovamente agli arresti, nella capitale l'atmosfera è bollente, soffia un'aria fervida che ha il sapore della ribellione. Lo testimonia anche Sopaka, che ha fondato un movimento clandestino per la libertà e la giustizia che sostiene l'opposizione al regime militare del suo paese.
"Adesso il popolo birmano è davvero molto infuriato e sta tentando di organizzarsi al fine di far sentire alla giunta e al mondo la sua voce nel modo più determinato possibile. Non escludo che nei prossimi giorni migliaia di cittadini possano di nuovo riversarsi in piazza e dar vita ad una poderosa manifestazione pacifica, forse ancor più clamorosa di quella del settembre 2007". E stavolta non saranno soltanto i monaci ad animare le piazze di Rangoon, ma tutta la popolazione.L'attività clandestina di Sopaka è stata scoperta dalle autorità birmane ed è stato costretto a sciogliere il suo gruppo politico e a rifugiarsi all'estero. Vive in esilio dal 2003 a Colonia, dove ha fondato il centro di cultura buddhista Dhamma Vihara. I suoi contatti con la società civile birmana permangono quotidiani. "La prigione nella quale si trova Aung San Suu Kyi, a pochi chilometri dalla capitale, è assolutamente inavvicinabile. Le persone sono confinate ad oltre 300 metri di distanza.
Nonostante questo le manifestazioni pacifiche continuano. Qualche giorno fa hanno tenuto un presidio 1500 persone. La polizia ha provato a respingere i manifestanti ma senza successo. Due giovani attivisti della National League for Democracy, movimento fondato da Aung San Suu Kyi, distribuivano nastri neri in segno di lutto. L'esercito li ha bloccati e li ha arrestati".
Nei giorni scorsi Sopaka ha tentato di mobilitare l'attenzione dei media internazionali sfruttando il prestigioso palcoscenico del Festival di Cannes, dove si trovava con Milena Kaneva, autrice del pluripremiato documentario sulla Birmania ‘Total Denial' e impegnata nella battaglia per la democrazia nel paese asiatico. Hanno esposto striscioni e stendardi, hanno pregato davanti alla stampa e distribuito materiale informativo: "Crediamo che la Croisette del Festival di Cannes sia stata la scena ideale per diffondere un importante e urgente appello per salvare la vita di un'icona della resistenza non violenza come Aung San Suu Kyi e quella di oltre 2 mila prigionieri politici - ha spiegato Sopaka - I media hanno dimostrato interesse alla nostra questione, tuttavia il mondo occidentale potrebbe esercitare una maggiore pressione sulla giunta birmana. I leader europei ed americani non devono esprimere soltanto solidarietà e sentimenti di fratellanza, ma dovrebbero cercare di agire con concretezza attraverso azioni pratiche".
Se da un lato le istituzioni occidentali esprimono i loro dissensi verso la dittatura birmana, dall'altro è sorprendentemente prospero il rapporto commerciale con essa.
Tra il 1988 e il 2002 in Birmania ci sono stati investimenti europei per almeno 4 miliardi di dollari. Secondo un elenco compilato dalla Global Unions, in Birmania operano 104 imprese europee. Nonostante sia la Cina il più affiatato partner commerciale della Birmania, gli Usa e la Gran Bretagna rimangono tra gli investitori più importanti e figurano, sempre in compagnia della Cina, tra i fornitori di armi al regime. Tutto questo nonostante l'esplicita richiesta ai governi mossa più volta da Aung San Suu Kyi di non investire nella Birmania dittatoriale visto che gli introiti riempiono soltanto i portafogli del regime lasciando la popolazione in condizioni di estrema povertà. L'esempio lampante è fornito dal documentario ‘Total Denial', che racconta gli abusi e le oppressioni militari della giunta birmana ai danni del popolo Karen per la costruzione di un oleodotto nel quale sono state ampiamente coinvolte l'azienda francese Total e l'americana Unocal. L'autrice Milena Kaneva ha denunciato più volte il disinteresse mostrato da molti media importanti, tra cui Bbc e Rai, i quali, dopo iniziali contatti, hanno rifiutato di trasmettere il documentario.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny