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mercoledì 26 settembre 2007

Intervista a Monicelli

Amici del blog, vi posto una delle ultime interviste del Maestro Monicelli, piena di significati, parlando del futuro, che è anche nostro e nelle nostre mani, buona lettura:

PARLA IL GRANDE REGISTA
Monicelli, 92 anni, parla del futuro: "Una catastrofe, non voglio esserci !"
Il maestro, che alla festa nazionale dell'Unità di Bologna riceverà la targa Volponi, si racconta a tutto tondo. "Nessuna fiducia nei giovani, unico spiraglio di speranza è la rivoluzione"

BOLOGNA, 26 agosto 2007 - Maestro Monicelli...
«No, non mi chiami maestro — corregge nitida, da Roma, la voce del regista 92enne —. Va bene Monicelli, Mario».

Domani sera alle 9 Lei sarà ospite della Festa dell’Unità, a Bologna, alla Casa dei Pensieri, e riceverà un premio.
«Sì, arriverò, nel tardo pomeriggio. Ma non ho capito bene che cos’è questa casa».

E’ l’associazione che si occupa degli incontri culturali della festa, e che fu fondata nel 1987 da Paolo Volponi. Il premio che riceverà è proprio nel nome dello scrittore.
«E’ un riconoscimento molto lusinghiero, adesso capisco bene».

E sa anche che, prima di ricevere il premio, verrà intervistato sul tema “Monicelli uomo del futuro”? Tutti gli incontri della Casa dei Pensieri hanno per tema ‘Il futuro che ci unisce’. Lei lo vede un futuro così?
«Ma no, quale futuro che ci unisce? C’è un futuro che ci divide, semmai. Le cose vanno in maniera sempre più catastrofica, indigesta. Io non voglio partecipare a un altro futuro come questo».

Ma valori condivisi, come si usa dire, proprio non se ne possono formare in politica?
«E’ tutto un grande calderone qualunquista, tutto uguale. C’è una classe dirigente omologata, che se ne sta separata dalla realtà e fa riferimento solo a se stessa».

Che cosa c’è all’origine di questo degrado?
«Prenda il cinema. La prima generazione del dopoguerra, la mia, è stata una generazione felice, solidale, produttiva, tesa a ricostruire. La dittatura era finita e ci mettemmo al lavoro aiutandoci senza gelosie. Ma dopo una decina d’anni il benessere, il boom, ha inquinato tutto. Il potere è andato a uomini corrotti, ottusi. Abbiamo avuto dal ’55 al ’62 un presidente della Repubblica come Gronchi, che ha fatto i soldi con la vendita delle sale cinematografiche più belle. E’ sconvolgente».
Nessuno se n’è accorto?
«Il cinema ha continuato, finché non si è esaurito. Poi è arrivata la televisione e si sa, da noi l’informazione non è espressione di libertà, la televisione è asservita al mercato. Comanda esclusivamente, su tutto, la pubblicità».

Perché per il suo ultimo film “Le rose del deserto” ha scelto la guerra di Libia?
«Io la guerra l’ho fatta, anche se non laggiù, in cavalleria. Poi c’era il libro di Tobino, viareggino come me, “Il deserto della Libia”. Mi pare che ne sia nato un film di qualità, duro, sarcastico, un film di uomini, quel certo genere poco amato dalle donne. E siccome le donne sono oltre la metà del pubblico dei cinema, c’è stato un bel successo di critica ma non di incassi».

Va al cinema?
«Talvolta, non tanto».

Le è piaciuto qualcosa di recente?
«“Sicko”, il film dcoumentario di Michael Moore sulla malasanità negli Stati Uniti, è diretto, corrosivo. Ma se devo citare l’ultimo film che mi ha dato conforto occorre che io risalga indietro di alcuni anni, “Good Bye Lenin!”, di Wolfgang Becker, ambientato nella Berlino Est a cavallo della caduta del Muro di Berlino. In quella vicenda, nella quale il protagonista deve evitare alla madre uscita dal coma lo choc della notizia che intanto il comunismo è crollato, ho ritrovato il rimpianto di un mondo amaro, drammatico, non certo bello e piacevole, ma nel quale la povertà si identificava anche con una forma di affratellamento».

Rimpiange Lenin?
«Semplicemente vorrei un mondo di tutti poveri, perché solo così ci sarebbe un mondo di tutti uguali. E, forse, di tutti fratelli».

Domani sera Lei dovrà parlare anche del suo film “Rossini! Rossini!”...
«Ah. E che cosa c’è da dire? Non è un grande lavoro, lo girai nel ’91. Rossini da vecchio era interpretato da Philippe Noiret e i costumi di Lina Nerli Taviani vinsero il David di Donatello».

Come vede i giovani?
«Come persone ‘mal educate’, educati male, diseducati anche da insegnanti demotivati. E soprattutto da genitori corrotti, pronti a rendersi visibili a qualunque costo».

Ma una via d’uscita proprio non ce la dà?
«Sì che la dò. Un rivolgimento clamoroso. Violento. Se no, di vie d’uscita non ce n’è».

Nell’attesa, ha in mente qualche progetto?
«No, ma no. Dopo 65 film, e a 92 anni compiuti, mi direbbero tutti: che cosa vuole ancora, quel vecchio?».

da Quotidiano.net

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao Stefano, ho ricambiato la visita al tuo blog e ne sono rimasto entusista, sei cosi' giovane e gia' cosi cosciente di quello che succede nel mondo, cosi' attivo e propositovo. Ce ne fossero!Bene, avanti cosi'!Hasta la victoria siempre!
Ho perso la tua mail ma al massimo tiscrivero dal blog, al momento sono in Inghilterra e assia occupato...
Un abbraccio
Stefano Belluno